Castelvero

Castelvero

giovedì 4 aprile 2024

venerdì 9 febbraio 2024

EL QUATTROCENTO QUELLI DI VESTENA ERANO STANCHI DELLE ANGHERIE IMPOSTE DALLA CITTA' DI VERONA (appunti Valdegamberi)

 

NEL QUATTROCENTO QUELLI DI VESTENA ERANO STANCHI DELLE ANGHERIE IMPOSTE DALLA CITTA' DI VERONA (appunti Valdegamberi) La storia che non trovi sui libri.

Nel Medioevo si definiva angheria una prestazione forzata imposta dalla pubblica autorità (mantenimento e riparazione dello stato delle strade e delle opere pubbliche, fornitura di mezzi di trasporto, fornitura di legna vettovaglie e uomini). Nel Quattrocento le autorità cittadine chiedevano anche a Vestena, come a molti altri borghi del veronese, delle angherie. A volte l’onere di queste angherie veniva ripartito pro-quota tra i diversi comuni di un Vicariato, altre poste a carico di più Vicariati. Vestena era un comune rurale che faceva parte del Vicariato di Tregnago, insieme a Tregnago, Cogollo, Marcemigo, Castelvero, Bolca con Volpiana, Pernigo, Centro e Corno. Il territorio dell'alta val d'Alpone ha sempre gravitato nell'ambito veronese mentre il vicino comune di San Giovanni in Larogna (poi diventato Ilarione) era stato ab antiquo in diocesi e distretto vicentino (quest'ultimo fino al secolo scorso). Questo vicariato confinava e in parte si incuneava all’interno dell’altro Vicariato della Montagna del Carbon, così chiamava nel Quattrocento, a cui - tra gli altri - faceva parte Saline, Tavernole, Badia (allora Spreacumprogno), Selva di Progno. Quest’ultimo, grazie agli antichi Privilegi Scaligeri godeva di un trattamento speciale e di diverse esenzioni, che per secoli hanno suscitato le invidie degli abitanti dei borghi circostanti, desiderosi anch’essi di beneficiare di un simile trattamento. Fu così che ad un certo punto, nel 1478, la comunità di Vestena, per bocca di Nicola del fu Zeno di Giuliano detto Merletto di Vestena, stanca di essere chiamata a contribuire con prestazioni di uomini e con forniture di prodotti, legna in particolare, fece appello al Capitano veneziano di Verona Giacomo Marcello di poter beneficiare del medesimo trattamento dei contermini comuni delle Montagne del Carbòn, in quanto anch'essa situata in “locum sterile”, alla cui villa non era nemmeno possibile accedere con dei carri, “cum plaustris”, ma solamente con i cavalli. Non c'era in quel tempo alcuna strada carrabile che raggiugesse Vestena! Chiese che fossero tolte le molteplici angherie ed oneri che gravavano sui suoi poveri abitanti e che che questi siano trattati al pari degli uomini della Montagna del Carbòn.

Quali erano queste “angherie”? Dagli antichi documenti del Comune di Verona emerge un elenco ben documentato. Alcune erano prestazioni di trasporto di derrate agricole o di materiale da costruzione: 1462 orzo da Zevio a Lazise, 1461; 4 carri di legname condotto per i soldati in Cittadella a Verona; 1471 portare la calcina da Marcemigo fino al castello di San Felice a Verona; 1463, otto carri “de sabion” al castello di San Felice … Altre erano prestazioni di manodopera: 1468, sei giornate di lavoro nella casa del Podestà a Verona; 1468, tre giorni di lavoro dal 16 giugno 1469 in Cittadella; 1461 tre giorni di lavoro alla Stedèra a Verona;1461, due giornate di lavoro per sei persone alla Fossa di Peschiera fin dal mese di Aprile 1467; 1477 lavori alla porta della Bra, 4 giorni per 8 operai…Alcune prestazioni, a volte, si facevano in territori lontani come nel Friuli. I cavalli a servizio della vicaria erano stazionati a Tregnago e il loro mantenimento era ripartito pro-quota tra i comuni del Vicariato.


Le origini dei Filippozzi di Castelvero e di Badia Calavena (S. Valdegamberi)

 


La famiglia dei Filipozzi viveva a Castelvero già dai primi del Quattrocento. Allora Castelvero era un comune rurale del vicariato di Tregnago. Già dall’antichità era abitato da una popolazione stabile, tanto da avere un castello, il “castrum vetus” da cui prese il nome. I ruderi del vecchio castrum erano visibili vicino al luogo dove si trovava l’antica chiesa (oggi scomparsa), dedicata a San Salvatore, nel luogo che ancor oggi si chiama Chiesavecchia. San Salvatore era un santo della devozione longobarda, a cui fu dedicata anche un’altra antica chiesa a Montecchia di Crosara. La località è attestata già nel 1145 in un documento che riporta una controversia tra i monaci di San Mauro di Saline e i canonici di Badia per la giurisdizione sulla chiesa di San Salvatore. I Filippozzi (a volte scritti come Filipozzi) compaiono in un atto dell’11 maggio 1403, “Instrumentum n. 11 Jacobi et Germani de Fillopociis de Castelvero”. I Filipozzi, insieme ai Vanzo e ai Bruni, sono tra le più antiche famiglie di Castelvero. Un tale figlio del fu Domenico Filipozzi di Castelvero comperò da Cristiano, figlio e procuratore di Michele “de Musellis” (Muselli è un’antica famiglia di Verona proprietari del palazzo dove ora c’è la Banca d’Italia, in via Cavour), un pezzo di terra prativa nelle pertinenze di Tregnago (allora il comune di Tregnago era esteso lungo la dorsale ed arrivava fino a Sprea) nella località chiamata la Tomba di Ventura. Forse si tratta del monte Tomba, in direzione di Sprea o, più probabile, il dosso tondeggiante nella località Caveci, sopra Castelvero in direzione dell’odierno Monte Pecora che a quei tempi si chiamava monte Camello, “mons Camilli”. Le terre dal “col de la Spina”, il valico della Collina, verso nord erano fino al 1628 appartenenti al Comune di Tregnago; poi passarono sotto la giurisdizione di Badia Calavena. Il 24 giugno 1443 un proprietario cittadino veronese, della contrada Pigna, diede in affitto a Domenico figlio del fu Domenico “de Fillipotiis” un pezzo di terra su quei monti, sempre nel comune di Tregnago (oggi Badia Calavena). Il 4 ottobre 1497 Biasio del fu Domenico “de Phillipociis” acquistò un terreno dal signor Tommaso “de Vittalibus” una pezza di terra prativa, nelle pertinenze di Tregnago (oggi Badia Calavena), in località Corbarie (Corbare è un toponimo tuttora esistente -. Vedi “I Nomi Raccontano la Storia” (Stefano Valdegamberi). La località si trova vicino a Castelvero, verso il vajo dei Mulini. Seguono altri acquisti sempre nelle Corbare e nella località Bordagnagni (le attuali “Borghejane”, luoghi studiati nel predetto libro). Nel 1527 l’acquisto interessò un terreno sul monte Pecora che allora si chiamava “Camolezo”; nel 1539 comperano, sempre nella Bordagnana, un terreno da Andrea “de Enselmis”. In seguito alcuni Filipozzi si trasferirono a Badia e nell’allora comune di Pernigo, da poco separatosi da quello di Marcemigo, verso il monte di San Moro. Filippo Filipozzi abitò nella contrada Perari che, grazie alla presenza della sua famiglia e dei suoi discendenti prese il nome attuale di contrada Filippi. (ASVr VIII Vari, 30 – 39). Altri Filippozzi si spostarono in seguito da Castelvero verso Badia: alcuni giunsero nella contrada Gamberoni ove rimangono fino ai nostri giorni.


ALCUNE NOTIZIE STORICHE SU CASTELVERO del 1628 (S. Valdegamberi)

 

ALCUNE NOTIZIE STORICHE SU CASTELVERO del 1628 (S. Valdegamberi)

Abbiamo visto che nei primi del Quattrocento le più antiche famiglie di Castelvero furono i Filipozzi, i Brun e i Vanzo. Nel Cinquecento compaiono a Castelvero i Zandonà. L’estimo del comune di Castelvero redatto il 15 giugno 1628 - come tutti gli estimi - era uno strumento per la riscossione delle tasse. Esso raccoglieva informazioni “delli beni, teste et bestiame” secondo la stima fatta da Vincenzo dei Vanzi (di Vanci), Biasio Filippozi (Filipoci) e Iseppo detto Meglior. Gli estimatori furono eletti nella vicinia generale a cui partecipavano tutti i capi-famiglia del comune di Castelvero, secondo gli ordini ricevuti dalle autorità veronesi, previo giuramento. L’estimo fu presentato il primo settembre 1628 tramite il notaio del comune Domenico Filippozi. Da questi documenti ricaviamo molte informazioni sulla comunità di Castelvero. Le famiglie di Castelvero erano allora le seguenti: Giacomo Filipoci del fu Michele, due teste (adulti soggetti all’imposta) con due bovi, nessuna vacca e una mula; gli eredi di Gian Antonio Filipoci, una testa, senza bovi e vacche; Bernardo Filipoci, due teste, nessun bove e nessuna vacca, una mula; Zen del fu Zan’Andrea di Zandone (Zandonà), una testa, nessun bue e vacca; eredi q. Mathio di Zandone, una testa; Nadal di Zandone, una testa, nessun bue o vacca; eredi q. Domenego di Vanti, due teste, due buoi, nessuna vacca, un mulo e un “paro de menzeti”; Thomaso di Vanci, una testa, nessun bue o vacca, un paio di manzette; eredi di Zen di Vanci, due teste, due vache, nessun bue; eredi del fu Thomaso dal Brun, una testa, nessun bue o vacca, una manzeta; Graviadio del fu Giacomo del Brun, una testa, nessun bue o vacca; Biasio del fu Pelegrin Filipoci con sei pecore; Domenego Filipoci, una testa, nessuna vacca o bue; Marchioro del fu Thomio Rovegia, una testa, nessuna vacca o bue; eredi del fu Thomio del Brun; Gian Maria del Brun, teste una; eredi del fu Andrea Filipoci; Francesco Canalle con nove pecore; Rugiero Righeti con una manzeta; Vincenzo del fu Odoardo del Brun; Isepo del fu Antonio detto Meglior con un manzeto; eredi del fu Antonio del Brun con un asino. Tutti i terreni di Castelvero erano debitori del livello alla nobile famiglia cittadina Da Campo, che li acquistò all’asta dalla Camera Fiscale che gestiva i beni comunali di Verona. Infatti, nei primi del Quattrocento i Veneziani, giunti al comando della città di Verona deciso di “privatizzare” i beni comunali, per rimpinguare le casse pubbliche. Mentre la famiglia veneziana degli Emo – che furono anche Capitani della città di Verona - s’impossessò di Vestena, quella veronese ma d’origine trentina dei Da Campo, acquistò i diritti di livello sul comune di Castelvero. Nel 1628 tutte le partite elencate nell’estimo pagavano annualmente il livello perpetuo al signor Graciadio Campo. Quest’ultimo possedeva, inoltre, due pezze di terra acquistate nell’anno 1575 per le quali, ovviamente non pagava livello a se stesso, ma erano parimente valutate nell’estimo: una in località chiamata le pozze, in capo al brolo del sig. Campo e una pezza di terra prativa con vigne nella località chiamata le Are, acquistata da Pietro del fu Tommaso del Brun, confinante con il suo stesso brolo e la strada comune. Questo lascia presumere che accanto al brolo vi fosse anche un’abitazione di sua proprietà. L’estimo riporta una serie di proprietari “forestieri” che possiedono terreni nel comune di Castelvero ma risiedono in altri comuni: Antonio del fu Simone Tebaldi di Campo de la Fontana; Chrestan Cramar di Azerino; Michele del fu Domenego Gambaron di Badia Callavena; Valerio di Costalonga del Comun di Tregnago (Costalunga passò sotto la giurisdizione di Badia Calavena nel 1629); Andrea Baldo del comune di Vestena; Mathio dal Gonzo di Badia Calavena.

Alcuni dei toponimi di Castelvero dei primi del Seicento

VANZO (trascritto dagli estimi di Castelvero del 1639. Da rivedere). Queste erano le famiglie Vanzo a quell'epoca.

Eredi di Simone e Marchioro Vanzi.

a) Una pezza di terra aradora e boschiva posta sopra il molin de Giacomo Filipoci, confinante sopra con la strada comune del Bosco Grando e dalle altre tre parti con Giacomo Filipoci, 1 campo e 16 vameze, stimata ducati 13;

b) una pezza di terra in parte prative e in parte zapadora nella località detta i Laghi, confinante da due parti la Val del Brogonzolo e la Valle del Comagnon verso mattina vi confina Gironimo Vanzo e alla parte superiore la Via Vicinale, in tutto campi 2 e vaneze 12, stimata ducati 40;

c) una pezza di terra aradora e garba in località dei Calmi, confinante verso sera con la strada comun, verso mattinala Fossa del Pralongo, alla parte di sopra con gli eredi di Biasio e Tommaso Vanzi, 1 campo e 12 vaneze, stimata ducati 24;

d) una pezza di terra arativa con vigne sotto le case dei Vanzi, confinante verso sera con la strada comune, verso mattina il “vagiolo del Pralongo” e sopra con le case e la corte dei Vanzi, 1 campo, stimato ducati 32;

e) una pezza di terra arativa e garba in località di Figaroli confinante sotto con gli eredi di Simon Vanzi, verso mattina con la strada comunale, in tutto 1 campo, vaneze 0 e tavole 8, stimata ducati 39;

f) una pezza di terra vegra e boschiva in località del Frasazene, confinante sopra con la via comune che porta ai Zandonà, dall’altra una stradella vicinale che va alla Valle di Comagnon e alla parte di sotto confina con la Val di Comagnon, in tutto campi 0 vaneze 18, ducati 7;

g) una pezza di terra vegra e boschiva e zappadora e prativa con un po’ di vigne in località di “Sacho de drio le case di Vanzi” che confina dalla parte di sotto con la via comune e di sopra con Gironimo di Vanzi, a mattina vi confina la via vicinale verso sera vi confina la Val di Comagnon et Tregnago chiamata la Val del Orcho, campi 1 e vaneze 14, stimata ducati 14;

h) una pezza di terra arativa e boschiva e garba nella località Sacho confinante con Gironimo Vanzo, verso merzzogiorno suddetto Gironimo, verso sera il Cengio del Molin dell’Orco, in tutto 1 campo, stimato ducati 26;

i) una pezza di terra aradora e boschiva in località della Sabbionara, confinante di sopra con suddetti eredi, sotto la strada comune che va alla Chiesa “del fito comun” verso sera vi confina il Fosa di Mezzo (?) da le spese, in tutto campi 1 in circa, stimato d. 20;

j) uan pezza di terra boschiva in località del Bosco di Scaluci ovvero Costoala, confinante a mezzogiorno il Fosa del Campo Biancho (?) verso mattina la Val di Vestena e Castelvero, stima senza pertegar , ducati 9;

Eredi di Biasio e Tommaso Vanzi

a) una pezza di terra prativa in località di Palù sopra il mulin deli Filipozi, confinante con al strada comune da una parte e dalle altre due parti confina con Gironimo e Beneto fratelli di Vanzi, campi 0 vaneze 9, stimata ducati 8;

b) una pezza di terra arativa con vigne in località dei Figaroli confinante da due parti con la strada comune e dall’altra con la Val di Comagnon di sopra vi confina li eredi di Simon Vanzi, campi 1 in circa, ducati 35;

c) una pezza di terra arativa e garba in località di Saco, confinante da una parte con al via comune, dall’altra la via vicinale di Saco in parte e in parte gli eredi di Rugero Rigeto, in tutto campi 0 e vaneze 20, ducati 25; una pezza di terra aradora in località del Briagio, confinante con al via vicinale del Briagio, per la parte di sopra il Sr. Conte Giacomo Campo, dall’altra gli eredi di Filipoci, campi 0, vaneze 7.Gironimo e nepoti di Vanzi

a) una pezza di terra prativa in località di Palù confinante con al Val di Castelvero e di San Zuagne Inlarogna (oggi San Giovanni Ilarione), dall’altra li eredi di Biasio e Tomaso di Vanzi, campi 1 vaneze 16, d. 10;

b) una pezza di terra arativa con vigne in località del Cantòn confinante da una parte con Bernardin Filipozi e dall’altra li eredi di Antonio di Vanzi, campi 1, d. 31;

c) una pezza di terra arativa e zapadora in località della Crosara confinante in mezzo una certa stradella in lastra, di sotto vi confina Benedeto fratello dei Vanti e dall’altra gli eredi di Biasio Vanzi, campi 1 e vaneze 12, ducati 12;

d) una pezza di terra arativa e garba in località del Sacho confinante verso mezzogiorno con gli eredi di Simon e Merchiore Vanzi, stimata ducati 22;

e) un molin feraro in località del Palù confinante con la val di Vestena e Castelvero che “masena a lago et a copiela” in pertinenza di Castelvero, stimato ducati 60;

Gironimo e nepoti di Vanzi

a) una pezza di terra prativa in località di Palù confinante con al Val di Castelvero e di San Zuagne Inlarogna (oggi San Giovanni Ilarione), dall’altra li eredi di Biasio e Tomaso di Vanzi, campi 1 vaneze 16, d. 10;

b) una pezza di terra arativa con vigne in località del Cantòn confinante da una parte con Bernardin Filipozi e dall’altra li eredi di Antonio di Vanzi, campi 1, d. 31;

c) una pezza di terra arativa e zapadora in località della Crosara confinante in mezzo una certa stradella in lastra, di sotto vi confina Benedeto fratello dei Vanti e dall’altra gli eredi di Biasio Vanzi, campi 1 e vaneze 12, ducati 12;

d) una pezza di terra arativa e garba in località del Sacho confinante verso mezzogiorno con gli eredi di Simon e Merchiore Vanzi, stimata ducati 22;

e) un molin teraro in località del Palù confinante con la val di Vestena e Castelvero che “masena a lago et a copiela” in pertinenza di Castelvero, stimato ducati 60;


Stefano Valdegamberi

IL CASTRUM VETERUM e i Maccadanza (S. Valdegamberi)

 

IL CASTRUM VETERUM e i Maccadanza (S. Valdegamberi)

Il nome Castelvero trae origine dalla parola latina Castrum veterum, castello vecchio. Il vecchio castello si trovava a Castelvero sul monte che si alza alle spalle della contrada Macadanzi, che nei toponimi del Seicento è riportato come “Castello”. Sulla sommità si vedono tuttora delle mura ma è molto probabile che il materiale dell’antico castelliere, probabilmente d’epoche preistoriche, fosse stato usato per costruire le abitazioni della contrada sottostante. Qualche anno fa visitai quel luogo chiamato ora monte Castellaro: mi ricordo delle grosse mura in pietra basaltica esagonale sopravvissute. Per terra, lungo il sentiere che porta all’antico maniero ho raccolto dei frammenti di coccio dell’età del bronzo. Una signora mi disse che il prato rivolto a mezzogiorno si chiama “castello”. Negli estimi del 1628 vi abitava Isepo del fu Antonio del Melior. Negli estimi del 1652, quando aveva 72 anni, era riportato come “Isepo del Melior over Macadanza”: da lì in avanti il “del Melior” scomparve e tutti i suoi discendenti furono chiamati “Macadanza”. Egli possedeva 28 campi di terra arativa, boschiva, coltivata con vigne e alberi da frutta, nella località chiamata del Castello, tra il monte, la valle e la via comune. Possedeva inoltre un piccolo appezzamento di terra in località di Castelvero chiamata di San Biagio. Pagava ogni anno ai conti Da Campo - che nel Quattrocento comperarono all’asta dalla Camera Fiscale di Verona le rendite sul comune di Castelvero - 65 ducati come livello perpetuo, un paio di galline del valore di 20 ducati, e delle castagne per il valore di 8 ducati. Egli possedeva in quell’anno un paio di vacchette. Negli estimi del 1628 si cita della terra arativa di Marcantonio del Brun in contrà dei “Casali di Machadanzi”, confinante con Isepo del Melior e con la strada vicinale “che va dali Machadanzi”. Credo, pertanto, che in questo caso la località abbia generato il cognome e non, come spesso accade, il contrario. Può anche essere che “Machadanza” fosse stato da tempo un soprannome dei “del Meglior” che vivevano in quella contrada. Nella località Castello è indicata una riva che in fondo finisce in un fossato: la “Fosa dall’aqua”. Sempre presso il Castello, nella parte tramontana, Domenico figlio di Graziadio dal Brun nel 1639 possedeva una boscaglia “garba”, “de drio al Castelo”, confinante con la via comune, gli eredi di Antonio del Brun e Isepo del Melior: questa era rimasta non ben quantificata, non ancora perticata, ovvero misurata a pertiche. Nel 1709 troviamo Macadanza Giovanni e Macadanza Carlo, ciascuno dei quali possedeva 19 campi di terra. Nel 1750 Bartolomio Macadanza con 14 campi e egr. Messer Carlo Macadanza con 27 campi di terra.

Damiano Maccadanza Mario Maccadanza Davide Maccadanza Damiano Maccadanza Sofia Maccadanza Davide Maccadanza Rosy Maccadanza Sara Maccadanza Roberto Maccadanza


Appunti di Storia di Castelvero (S. Valdegamberi)



Appunti di Storia di Castelvero (S. Valdegamberi)

Chi viveva nel 1628 a Castelvero? L'estimo è lo strumento introdotto dal fisco veneziano per accertare la proprietà fondiaria del contribuente. Nell’estimo si indicavano le teste, ossia i nomi dei residenti maschi di età compresa tra i 16 e i 70 anni, soggetti alla tassa del testatico. Tutti gli altri sono esclusi dal conteggio. Nel 1628 a Castelvero erano 16. I buoi erano necessari soprattutto per arare i terreni: erano solo due. Venivano censite le vacche in tutto 18. C’erano altri animali, non rilevati nell’estimo, necessari per la sussistenza della famiglia. Non mancavano i muli e gli asini (8 in tutti) che erano un mezzo di trasporto funzionale soprattutto per chi possedeva i mulini che nel 1628 era uno solo, di proprietà di Giacomo Filipozzi.

Giacomo Filipoci, teste 2, boi 2, vache 0

Eredi de Zorzo Filipoci, teste 0, boi 0. Vache 0

Bernardin Filipoci, teste 1, boi 0, vache 2

Eredi de Zen Zandona, teste 0, boi 0, vache 0

Matio Zandona teste 1, boi 0, vache 0

Eredi di Simon Vanzi, teste 0, boi 0, vache 2

Eredi di Biasio Vanzi, teste 0, boi 0, vache 1,

Gironimo Vanzo, teste 1, boi 0, vache 2

Tomaso dal Brun, teste 1, boi 0, vache 0

Eredi de Tomaso Brun, teste 0, boi 0, vache 0

Eredi de Lorenzo Brun, teste 0, boi 0, vache 0

Eredi di Antonio Brun, teste 0, boi 0, vache 0

Eredi di Graziadio Brun, teste 0, boi 0, vache 1

Eredi di Biasio Filipoci, teste 0, boi 0, vache 0

Eredi di Domenego Filipoci, teste 0, boi 0 vache 0

Eredi de Zandomenego Rovegia, teste 0, boi 0, vache 0

Eredi de Marchiono Rovegia, teste 0, boi 0, vache 0

Eredi de Gironimo Brun, teste 0, boi 1, vache 0

Eredi de Zamaria Brun, teste 0, boi 0, vache 0

Zamaria Brun, teste 1, boi 0, vache 1

Eredi de Antonio Tomba, teste 0, boi 0, vache 0

Zorzo Filipoci, teste 1, boi 0, vache 1

Michele Ranchan, teste 1, boi, vache 0

Eredi de Lazaro Filipoci, teste 0, boi 0, vache 0

Francesco Canale, teste 1, boi 0, vache 2

Benedeto Vanzo, teste 1, boi 0, vache 0

Matio Rigeto, teste 1, boi 0, vache 1

Lonardo Perlato, teste 1, boi 0, vache 1

Zamaria Brun, teste 0, boi 0, vache 0,

Vincenzo Brun, teste 1, boi 0, vache 0

Eredi de Zandomenego Brun, teste 1, boi 0, vache 1

Isepo del Melior, teste 1, boi 0, vache 2

Eredi de Antonio Brun, teste 0, boi 0, vache 0

Nadale Zandona, teste 1, boi 0, vache 1

Totale: teste 16, boi 2, vache 18

Giacomo Filipozzi una mula, Paulo Molinaro una asina, Gironimo Vanzo una asina, Tomaso Porchara una asina, Zorzo Filipozi una asina, Benedeto Vanzo una asina, Lonardo Perlato una asina, Tomaso del Brun un mulo.

Il Comune di Castelvero non riscuoteva alcun fitto e i suoi abitanti erano tenuti a pagare in solido 1439 ducati ai Nobili Da Campo come livello perpetuo. Ha il compito di mantenere la lampada da olio davanti al sacramento nella chiesa. L’olio per tutto l’anno è racchiuso in 12 bocce, per un valore complessivo di 200 ducati. Inoltre, mantiene la cera per i tre altari della chiesa che per l’anno costa 300 ducati. Doveva pagare anche il reverendo che “serve al dito comun” 30 ducati all’anno che sono il capitale di 500 ducati. Il comune paga i fitti ai forestieri che hanno acquistato terreni nel comune di Castelvero per un totale di 838 ducati; paga il salario al massaro del Comune, che ammonta a 20 ducati; paga 4 ducati come salario allo “scrivàn del comune”; infine paga la quota parte di spettanza del salario del Vicario di Tregnago. Castelvero, infatti, come Vestena, Bolca, Cogollo, Centro e Marcemigo faceva parte alla vicaria di Tregnago. Alberto Roveggia Andrea Roveggia



I MULINI DI CASTELVERO (S. Valdegamberi)



La necessità di macinare i grani ha portato alla realizzazione di mulini azionati dalla forza motrice derivante dagli elementi naturali quali l’acqua o il vento. La presenza di un costante flusso d’acqua nella valle che divide l’antico comune di Castelvero da quello di Vestena era una condizione propizia per insediare dei mulini azionati dalla forza dell’acqua. Quella valle, molto profonda, si riempì un po’ alla volta, soprattutto dopo il Seicento di mulini, fino a prendere il nome di Valle dei Mulini. Il mulino veniva citato per la sua importanza nell’economia di sussistenza del Medioevo anche nella Regola di San Benedetto da Norcia (480-547), dove al capitolo 66 recita: “Monasterium autem, si possit fieri, ita debet constitui ut omnia necessaria, id est acqua, molendinum, hortum vel artes diversas intra monasterium exerceantur, ut non sit necessitas monachis vagandi foris, quia omnino non expedit animabus eorum”. Tradotto, significa che il monastero deve essere costruito in modo che ci sia tutto il necessario lì vicino, tra cui è menzionato anche il mulino, per evitare che i monaci debbano andare in giro in cerca di beni di prima necessità. Vi erano due tipi di mulini maggiormente diffusi nella Terraferma veneziana: il mulino terragno, “terraneo” e il mulino a coppedello, “a copiela”. Il mulino terragno è stata la tipologia di mulino più diffusa della pianura veneta fino al secondo dopoguerra. Era formato da una solida struttura costruita in pietra nei pressi di canali minori. L’acqua che muoveva le ruote idrauliche era condotta lungo apposite canalizzazioni, come ad esempio rogge, lungo il percorso avevano apposite griglie che il mugnaio periodicamente doveva pulire, per evitare che pesci, oggetti, piante e talvolta anche cadaveri danneggiassero le ruote del mulino. Questi mulini spesso erano edifici piuttosto grandi ed al loro interno potevano ospitare diversi locali oltre quelli per uso lavorativo poteva esserci la stanza dove alloggiava il mugnaio e la sua famiglia oppure anche il magazzino dov’era tenuta la farina ed il grano. La ruota del mulino era stretta, ma con un grande diametro, il flusso d’acqua che vi arrivava tramite le canalizzazioni alla ruota spingendola dal basso era gestito dal mugnaio, grazie a delle paratie mobili. Questo mulino era sicuramente più adattabile nel territorio rispetto al modello galleggiante ed aveva un maggior controllo del flusso d’acqua, per questo era molto più diffuso. Un altro tipo era il mulino a coppedello, “a copiela”. Quest’ultimo era diffuso soprattutto nelle aree montane e collinari, come lo è appunto il territorio di Castelvero. Il mulino a coppedello si trovava vicino alla riva di torrenti o canali minori. L’acqua dal gorgo del torrente era deviata mediante appositi canali, detti rogge, per poi raggiungere l’opificio. La ruota idraulica, piuttosto stretta, ma con un grande diametro, era fatta azionare attraverso la caduta dell’acqua dall’alto in cassette (coppelle), le quali una volta riempite in corrispondenza del punto morto, grazie al peso dell’acqua, vincevano l’inerzia della ruota generando così il movimento rotatorio. L’acqua prima di raggiungere il salto, passava lungo una serie di canalette di solito fatte in legno sostenute da dei pali, che terminavano in bocchettoni (secèle) dove poi l’acqua era scaricata sulla ruota. Ogni canaletta aveva un suo meccanismo controllato dall’interno mediante lunghe aste che permettevano di deviare il bocchettone o secèla, così da poter controllare la rotazione della ruota immettendo più o meno acqua, oppure per deviarla su un’altra ruota vicina. Lungo le rogge, spesso in prossimità del mulino si trovavano anche delle paratie fatte in legno (dette bastarde) che, alzate o abbassate, permettevano un ulteriore controllo sul flusso d’acqua. Anche il canale scaricatore era chiamato roggia bastarda, in questo canale confluiva tutta l’acqua in eccesso che veniva reimmessa nel torrente. Negli estimi del 1628 è presente un solo mulino terraneo in località del Palù, sul vajo che divide Vestena da Castelvero, stimato 50 ducati, di Giacomo f. Michele Filipoci. Nel 1634 si riporta lo stesso mulino “un molino da masena con aparechi” nella località della val de Vestena e Castelvero, la cui rendita è stimata in 33 ducati; inoltre è riportata “la rota de un mulin terreno in contrà del Palù” a confine tra le valli di Vestena, Castelvero e San Giovanni in la Rogna, vicentino, (San Giovanni Ilarione, allora in provincia di Vicenza), stimato ducati 33, il cui diritto all’uso spettava per metà, 16 , 5 ducati, agli eredi di Biasio Filipoci e per metà 16, 5 agli eredi di Simon e Marchioro Vanci. Negli estimi del 1639 sono presenti tre mulini: un “molin che masena a logo et a copiela” nella Val de Vestena e Castelvero (Valle dei Mulini) di Giacomo e nipoti dei Filipozzi , la cui rendita è stimata in ducati 60; “Un molin terreno in la val del Vestena e Castelvero che masena a Lago e copiela”, stimato in ducati 60, di Andrea del Brun; un mulino in località del Palù confinante con la val di Vestena e Castelvero che “masena a lago et a copiela”, stimato in ducati 60 di “Gironimo e nepoti di Vanzi”. Nel 1652 i mulini diventano quattro: Nicola Vanzo possiede, oltre ad un asinello utile per traportare i sacchi di grano e di farina, un “molin a copiella che macina a aqua di fortuna”; Francesco Felipozo, che possiede anche “una asena”, “una ruda da molin che macina a gorgo a copiela”; Giacomo Felipozi che oltre ad un “asenelo”, possiede “una ruda da mulin che macina in gorgo et a copiel”; Zanmaria del fu Andrea Del Molin che, oltre ad un “muleto”, “posiede una ruda che macina a copiella”. Sullo stesso corso d’acqua, più a monte, ai confini tra Badia Calavena e Vestena, c’erano nel Seicento, come si rileva da una antica mappa, altri tre mulini, uno di questi era di proprietà di un mio antenato che nel Settecento faceva il “molinaro”. Mio nonno mi raccontava che i mulini dei miei antenati, di cui si trovano ancora i ruderi, rimasero attivi fino all’avvento del Regno d’Italia che, su iniziativa di Quintino Sella, per risanare il bilancio dello Stato, introdusse nel 1869 la famigerata tassa sul macinato. Non era più conveniente proseguire con un’attività tra l’altro svolta in luoghi dove non c’erano strade e si accedeva solo a dorso di mulo. Così furono costretti a interrompere il lavoro di mugnai e a scoperchiare i mulini, per non essere tassati dallo Stato.


domenica 31 dicembre 2023